ZINGARETTI, PALAMARA, LOTTI, LOTITO: UN BUCO NERO DELLA DEMOCRAZIA

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Tutto parte, se proprio vogliamo dare un inizio a questa storia, dalle intercettazioni di Lotti, ancora oggi braccio destro di Renzi, su un trojan inserito nel cellulare di Palamara. Stiamo parlando di un alto magistrato, ex presidente dell’ANM, che per le accuse stava pilotando, attraverso cordate clientelari, le nomine dei vertici delle principali procure del nostro paese. Tutto molto sotterraneo, entro una rete di favori e ricatti, che ha fatto gridare qualcuno alla nuova P2. Il punto è che si tratta di personaggi, oltre allo stesso PALAMARA, noti alle cronache politiche e non: ZINGARETTI (segretario del PD), LOTTI (ex braccio destro di Renzi, coinvolto nello scandalo appalti pilotati Consip), e Claudio LOTITO che, quando si tratta di costruire comitati di pressione, è sempre presente. Insomma, stiamo parlando di una inchiesta che ha minato le fondamenta del Consiglio superiore della magistratura, producendo danni gravissimi soprattutto per la credibilità del potere giudiziario. O, se si preferisce, di una vicenda che mina il mito della magistratura incorruttibile che sa colpire gli scandali.

Secondo l’accusa, una cordata composta da magistrati, politici, imprenditori e avvocati di cui abbiamo citato i nomi più noti – coinvolti o sfiorati dalle indagini – avrebbe dovuto pilotare le nomine dei capi delle procure. A cominciare da quella più ambita a livello nazionale, la Procura di Roma diretta fino a poche settimane fa da Giuseppe Pignatone, sotto la cui dirigenza sono stati scoperchiati i grandi scandali come Mafia Capitale; ha dato un impulso determinante alle indagini sulla morte di Stefano Cucchi e la messa in stato di accusa di 8 militari appartenenti all’Arma dei carabinieri; ha inferto un duro colpo al clan Spada di Ostia e al clan Casamonica a Roma.

Ma in ballo non c’è soltanto la nomina del procuratore di Roma, a catena ci sono quelle della procura di Perugia (che sta conducendo le indagini proprio su Palamara e altri magistrati coinvolti nell’inchiesta) e altre importanti procure.

Bene, sempre secondo l’accusa, i componenti di questa cordata si sono riuniti per orchestrare quelle nomine. A volte anche utilizzando i media (strumenti inconsapevoli?) veicolando notizie che gettavano discredito sulla gestione della Procura di Roma diretta da Pignatone e dall’aggiunto Paolo Ielo. Notizie che poi sono risultate infondate.

Un bel casino. Considerando anche che la moglie di Palamara, come riportato dal Fatto Quotidiano, ha lavorato tre anni come dirigente della regione Lazio sotto la presidenza Zingaretti, ovvero il segretario del PD.
Per cui si capisce perché l’attuale segretario del PD si muove come se stesse camminando sui vetri in questa vicenda. Ci sono legami con i protagonisti di questo tentativo di pilotare le nomine del CSM (Palamara, Lotti) che non si possono negare. Questo in un contesto dove, fino a prima del caso Palamara, il Csm non era mai stato coinvolto in vicende giudiziarie. Oggi invece, a seguito del caso Palamara, il consiglio è decapitato: lunedì scorso si era dimesso Luigi Spina di Unicost, poi si sono autosospesi Antonio Lepre e Corrado Cartoni di Mi e a seguire la stessa scelta l’hanno fatta Gianluigi Morlini di Unicost (presidente della commissione che nomina i capi degli uffici, quindi anche Roma e Perugia), e Paolo Criscuoli di Magistratura indipendente.

Un terremoto che ancora non si sa se è terminato o se avrà ancora altre scosse di assestamento. In questo caso il Csm potrebbe sciogliersi e quindi tornare nuovamente alle elezioni.
Benvenuti in uno dei buchi neri della democrazia italiana.

Zingaretti, niente da dire a parte i soliti sorrisi di facciata?