Zingaretti, se ci sei batti un colpo

0
68
zingaretti
zingaretti

La sensazione, forse sbagliata, è che Giuseppe Conte venga mandato al fronte senza troppe difese. Quasi che il suo destino, per opposizione (e ci sta) e maggioranza (e qui ci sta un po’ meno), fosse per forza quello di vivere l’inevitabile mitraglia. Antonio Padellaro ha scritto che, nella sua storia di cronista, non ha mai visto un presidente del Consiglio così linciato. Già questo è sintomatico, perché di presidenti del Consiglio peggiori ce ne sono stati tanti (quasi tutti) e sfuggono le colpe imperdonabili di Conte. A meno che, il virus, l’abbia creato lui in persona a Wuhan. Eppure larga parte dell’informazione, compresa quella “nuova” Repubblica così incerta da avere esordito con titoli alla “Libero garbato” (si perdoni l’ossimoro) e con un editoriale in prima pagina di Stefano Cappellini (come se Mick Jagger sostituisse Keith Richards con Povia), continua a macellarlo. Sognando l’inciucio à la Draghi e intervistando Renzi – i cui sondaggi grondano comicamente sangue – come se fosse sul serio uno statista.

In un simile scenario post-atomico e oltremodo capovolto, colpisce il silenzio pressoché assordante di Nicola Zingaretti. Per carità, l’uomo vanta da sempre il carisma dei salumai di provincia, contenti come bimbi quando riescono a venderti due etti in più di finocchiona tagliata a mano (“Che faccio, lascio?”; “Lasci sor Nicola, lasci pure!”). La squisita e quasi inseguita assenza di qualsivoglia grinta, nell’ineffabile Zinga, è ormai cifra distintiva. E del resto essere carismatici non è (forse) un requisito indispensabile per un politico, che dovrebbe piuttosto vantare onestà, coraggio e lucidità. Tutte doti che senz’altro Zingaretti ha. Per questo il suo silenzio, o le sue mezze parole, sembrano figlie del comportamento di un leader (ehilà!) ridotto a fare il pesce in barile. Un po’ perché ha paura dei tanti colleghi interni al partito restati renziani e pronti a defenestrarlo in Parlamento, un po’ perché il Pd dipende non poco da quel che pensa e scrive il Gruppo Espresso (cioè Repubblica, cioè Gedi). E un po’, forse, perché lo stesso Zingaretti non sa quel che pensare. A inizio governo Conte 2, il segretario del Pd si è rivelato molto più propositivo di Di Maio. È stato bravo. Come lo è stato nello smussare gli angoli, di fronte ad alleati assai litigiosi. Zingaretti ha poi sottovalutato (come tutti) fino a fine febbraio la pandemia, esortando addirittura a fare aperitivi a Milano quando il Covid-19 era già spietato (a insaputa sua e nostra). Si è ammalato, è guarito. Ma non ha ritrovato la voglia di parlare: non chiaramente, almeno. La sua pagina Facebook sembra quella di un caro estinto gestita da un biscugino laterale. Le sue (rare) interviste hanno la forza degli abeti vilipesi. E nel frattempo il governo, di cui è parte integrante, cresce nei consensi ma viene massacrato quasi sempre a torto (perlomeno nei toni).

Da qui la domanda: oh, Zinga, ci sei? Ci fai sapere, più prima che poi, se in questo governo credi ancora? Te la senti di schierarti a fianco di Conte, sul serio e senza politichese, o temi che il farlo scateni una grandine di fuoco amico? Venerdì scorso, ad Accordi&Disaccordi, il ministro Boccia ha detto chiaramente che non vede in futuro nessun governo che non contempli il Pd e M5S accanto: non in questa legislatura, quantomeno. È troppo chiedere altrettanta chiarezza da Messer Tentenna Zingaretti? Il segretario Pd è ancora convinto della bontà del Conte 2, oppure anche lui sotto sotto sogna un nuovo inciucio travestito da Draghi? Facci sapere, sor Nicola. Con comodo, ma neanche troppo.                      (di Andrea Scanzi – Il Fatto Quotidiano)