Gli intellettuali europei non si occupano più d’Europa

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Con una (in)certa regolarità gli intellettuali vengono (giustamente) criticati per i documenti che firmano, per le frasette che twittano, per quello che dicono nei salotti televisivi

Spesso sono intellettuali contro intellettuali. Qui, invece, indirizzerò il tiro della critica ad un loro grave silenzio, quello che riguarda l’Unione Europea, l’Europa. Domenica 9 maggio, 71esimo anniversario della dichiarazione del Ministro degli Esteri francese Robert Schumann che portò alla nascita della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA), prenderà il via una ambiziosa Conferenza sul Futuro dell’Europa. La Commissione europea intende così perseguire gli obiettivi di “coltivare, proteggere, rafforzare la democrazia europea”, mirando a coinvolgere al massimo i cittadini europei in una molteplicità di modi, fino a forme di democrazia deliberativa che ne incoraggino e valorizzino la partecipazione e l’influenza sulle decisioni europee.

Non ho letto, non ho sentito, non ho visto commenti rilevanti ad opera degli intellettuali europei. Non ne sono sorpreso.

Sono passati tantissimi anni da quando il grande studioso Raymond Aron, tanto raffinato quanto scettico, scrisse il libro In difesa di un’Europa decadente (Mondadori 1978) criticando più o meno indirettamente i suoi colleghi non solo francesi. Probabilmente, l’esempio più alto di discussione fra intellettuali pubblici e di analisi e proposta fu il scritto dal sociologo Ralf Dahrendorf, tedesco, e dagli storici François Furet, francese, e Bronislav Geremek, polacco: La democrazia in Europa (Laterza 1992). L’assenza di un intellettuale italiano non è causale, ma riflette lo stato dell’arte.

I grandi intellettuali italiani si sono sostanzialmente disinteressati dell’unificazione politica europea, che, pure, è un evento di portata “epocale”. Studiosi certamente tutt’altro che provinciali, presenti e famosi sulla scena europea, frequentemente invitati a importanti convegni, come Umberto Eco, Norberto Bobbio, Giovanni Sartori, non hanno dedicato nessuno studio specifico alla cultura e alla politica europea. Difficile spiegare il loro disinteresse.

Hanno dato per scontato il processo di unificazione europea?

Erano delusi dalla sua apparente lentezza?

Non ne ritenevano importanti le acquisizioni in materia di pace, di diritti, di democrazia che motivarono l’assegnazione all’Unione Europea del Premio Nobel per la Pace nel 2012?

Neanche i grandi scrittori italiani, faccio solo due esempi: Leonardo Sciascia e Claudio Magris, hanno dedicato la loro attenzione letteraria e culturale e le loro non rare prese di posizione politica alla discussione dell’Europa che c’è, alla progettazione dell’Europa che vorrebbero. Questa assenza degli intellettuali che riflettano sull’Europa, che contribuiscano al dibattito pubblico, che arricchiscano il discorso su quel che viene fatto bene, non viene fatto, è stato fatto male, non riguarda, però, soltanto gli italiani. Ė possibile sostenere che l’ultimo grande influente intellettuale che si confronta con l’Europa, che ha una certa idea di Europa è l’ultranovantenne sociologo e filosofo tedesco Jürgen Habermas. Mi viene in mente soltanto un altro nome, quello del saggista Timothy Garton Ash, di Oxford, autore di notevoli libri sulle opposizioni nei regimi comunisti dell’Europa centro-orientale e sull’imperfetta transizione di quei paesi alla democrazia.

La Conferenza sul Futuro dell’Europa avrà tanto più successo quante più idee entreranno in circolazione. Ė una grande opportunità anche per gli intellettuali europei di dimostrare che intendono e sanno contribuire ad un futuro migliore.

Gianfranco Pasquino