Inchiesta sul signoraggio bancario, un punto di vista

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meluzzi
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La geopolitica è tornata potentemente di moda. Dopo un’epoca nella quale l’apparente conclusione di una contrapposizione del pianeta in blocchi politico-ideologici, caratterizzata da quelle date – diventate topica – del 1789, 1815, 1848, 1914, e 1989, si afferma un principio e un pensiero, ampiamente ritrattato nei suoi antipodi ideologici del suo stesso autore Fukuyama, polititologo americano di origini giapponesi, che scrisse immediatamente dopo il 1989 un libro storico intitolato ‘Fine della storia’. In questo libro la teoria era che, finita l’era di Berlino, ormai la contrapposizione planetaria non era più bipolare ma era diventata monopolare, imperniata sugli Stati Uniti, che è in realtà un sistema di entità più complesso, che non può coincidere esclusivamente con la Repubblica degli Stati Uniti d’America così come si è formata con la sua costituzione massonica di grandi personaggi costituenti dopo la Guerra di Indipendenza. Questo sistema, imperniato sulla monopolarità di un potere americano, prevederebbe una sola grande potenza che avrebbe governato con una sola finanza, costruita sul dollaro, e con una sola forza militare, quella degli Stati Uniti appunto, un sistema che ormai non aveva più il balance of power della contrapposizione tra l’impero sovietico e quello americano. Quindi, sarebbe tutto cambiato. Però, contemporaneamente un altro politologo, per lungo tempo misconosciuto ma tornato recentemente di moda, che si chiama Huntington, scrisse un libro intitolato ‘Lo scontro delle civiltà’, in cui la teoria era che, al di là della predominanza finanziaria e militare e di potere descritta da Fukuyama, rimaneva nel sottofondo della pelle della storia una situazione in cui in realtà sarebbero riemersi in questa pacificante monopolarità, in cui la storia con la sua dialettica marxiana era superata dai dati dei fatti, una contrapposizione in blocchi che opponeva sistemi strutturali, linguistici, valoriali, religiosi, identitari. Identità anch’essa misconosciuta ma tornata in voga, tanto che Fukuyama ha appena pubblicato un saggio intitolato ‘l’identità’, in cui si rimangia le teorie sulla fine della storia, anche perché uno scienziato della politica deve guardare empiricamente alle cose. Avendo visto che la storia non è affatto finita e che le identità attraverso i nazionalismi si sono fortemente contrapposte in una visione globalista del mondo, ha scritto questo libro in cui sostiene che l’identità è un fenomeno inevitabile nella politica e che le nazionalità sarebbero legate ad una dimensione in qualche modo difensiva, punitiva, aggressiva e autoreferenziale della storia in cui ai popoli non basta avere da bere e da mangiare per avere i diritti fondamentali ma c’è un bisogno di affermazione di identità, di culture, di valori e di ostilità verso coloro che non riconoscono la nostra identità. Un identitarismo che Fukuyama descrive in modo ambiguo ma che riflette le teorie di Huntington, al quale Fukuyama non guarda con simpatia ma 25 anni dopo ne riprende il pensiero a veli spiegate. Huntington dice una cosa che è sotto gli occhi di tutti: il mondo è diviso in blocchi, che non sono più quelli che contrapponevano il capitalismo nordamericano al mondo sovietico ma siamo in un mondo in cui i blocchi sono più numerosi: quello occidentale che corrisponde agli Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia (polo post-capitalista); quello ex-sovietico caratterizzato dalla religione ortodossa; quello latino-americano caratterizzato da un post-etnicismo coloniale e dalla teologia della liberazione; il mondo cinese figlio del marxismo, del taoismo e del confucianesimo; il sub-continente indiano con le sue specificità; il mondo oceanico di modesta importanza di inter-culturalità; il continente asiatico e quello africano.
Questa divisione in blocchi ci impone una riflessione su quali siano oggi i termini della storia. In questa geografia di pesi e contrappesi quali sono le forze in gioco? La storia ci dice che l’ultima vera grande contrapposizione ideologica, strutturale, programmatoria, valoriale, identitaria, che ha contrapposto coloro che pensavano che dovessero valere una terra, una memoria, una tradizione e il sangue e coloro che pensavano che dovessero prevalere soltanto i valori globali della moneta è stata la Seconda Guerra Mondiale. Chi dei due ha vinto la guerra? I secondi. I primi si chiamavano nazisti, fascisti, giapponesi, che la storia ha condannato con una damnatio memoriae che solo persone divergenti con un simbolo tricolore che esce dalla tomba di Mussolini potrebbero capire. Ciò appare incomprensibile e blasfemo. Quelli che hanno vinto la guerra erano coloro che consideravano importante, fondamentale, la finanza della moneta. Chi erano i primi? Coloro che governano oggi il mondo. Basta prendere i 15 gruppi bancari, finanziari, più importanti del mondo, anche quelli che pensiamo pubblici. Chi comanda queste banche? Ci sono al massimo una 20ina di cognomi, sempre gli stessi. Non sono cinesi, napoletani, svedesi. In questo contesto è evidente che la situazione, che ha valorizzato la finanza industriale, l’accumulazione puramente finanziaria rispetto al primario dell’agricoltura, ha fatto sì che si creasse un contesto paradossale: siamo in una sorta di dittatura planetaria non solo dei presta-denaro ma degli stampa-denaro. Questa cosa inizia a Bretton Woods nel 1944, prima gli accordi di Yalta sulla spartizione del pianeta, poi Bretton Woods sulla moneta. All’inizio questa dittatura monetaristica doveva avere una corrispondenza in oro, poi -fino al 1973- una corrispondenza in dollari, poi neanche quest’ultima e oggi le monete sono carta straccia senza valore se non per colui che emette.
Quando parliamo di politiche locali, di globalismo e di scontro tra civiltà, affrontiamo gli argomenti appena citati. Gli altri mondi, non il nostro, quello occidentale per intenderci, hanno una finanza autonoma. La Russia rappresenta l’unico vero nemico del blocco che governa il nostro mondo. Ha un prodotto interno lordo inferiore a quello dell’Italia, ma ha una straordinaria forza militare, ha straordinarie risorse energetiche. Guardare alla Russia vuol dire guardare all’ultima linea di resistenza dell’autodeterminazione dei popoli. Rappresenta un nuovo populismo che non è una degenerazione ma è l’affermazione della libertà e dell’identità dei popoli.
Se c’è una variabile impazzita in questa dialettica, è Trump che è assurto al potere grazie ad un miracolo, cioè incuneandosi dentro una contraddizione storico-geopolitica nel mondo ebraico e rabbinico: tra il mondo finanziario ebraico che considera l’ebraismo della sinagoga, senza terra, con un modello cabalistico del potere, e il sionismo per cui conta la terra e quindi Gerusalemme fino all’Eufrate. Trump si è inserito in questa contraddizione e ha affermato che l’unica capitale di Israele è Gerusalemme, compiendo un atto molto sionista. Ma l’altro mondo ebraico, quello finanziario, ha imbracciato le armi per distruggere il nemico. I padroni del mondo rimangono sempre gli stessi, almeno negli ultimi 4 secoli. Questo mondo massonico-ebraico ha conquistato anche il Vaticano con un blitz che ha cancellato l’opposizione, trasformando il Vaticano in una loggia massonica. Parlare di politica estera vuol dire parlare di elite rispetto a cui è difficile avere informazioni se non quelle che si appalesano: immensi investimenti di open society nelle migrazioni, nella green economy. Queste elite hanno capito come richiamare le pecore al gregge, dividendo le pecore dai soldi. I popoli hanno soltanto dalla loro lo strumento del voto, che è uno strumento debolissimo perché chi decide non sono né i governi né le magistrature. Ci sono tre nuovi poteri che sostituiscono quelli vecchi (legislativo, esecutivo, giudiziario): economico-finanziario, comunicativo-informativo e tecnologico-scientifico.

alessandro meluzzi