Putin, il Grande

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Stiamo assistendo ad un nuovo tentativo di colpire Salvini, questa volta attraverso presunti finanziamenti illeciti russi alla Lega. L’unica cosa certa semmai è che questa nuova inchiesta non farà che aumentare il consenso per Salvini. Più cercano maldestramente di colpirlo e più lui si rafforza.

Non mi occuperò però oggi di lui, ma per rimanere in argomento di Putin. In una recente intervista rilasciata al Financial Times, in occasione del G-20 di Osaka, Vladimir Putin ha svolto – sia pure di sfuggita – una radicale e profonda critica al liberalismo, sostenendo che esso sarebbe ormai «sorpassato» e «obsoleto», non più in grado di rispondere al modo in cui i rapporti politici e geopolitici si sono definiti negli ultimi anni. Su ciò, si è aperto – come era naturale che fosse – un ampio dibattito che, tuttavia, sembra aver trovato solo marginale interesse in Italia.

Da noi, Alesina e Giavazzi (da una parte) e Ocone e Gervasoni (dall’altra) sono stati tra i pochi ad aver tentato di sottolineare l’imporatanza dell’intervista, e di discuterne le criticità e le implicazioni. Le posizioni sono diverse. Alesina e Giavazzi, nel loro intervento sul Corriere della Sera dello scorso 4 luglio, “I principi liberali sono vivi”, insistono sul fatto che la critica di Putin recupererebbe semplicemente i temi propri di una visione «populista», diretta a negare soprattutto la «democrazia rappresentativa». Putin non mirerebbe ad altro che a negare la funzione di quel sistema di checks and balances – costruito soprattutto sul ruolo del Parlamento e delle «istituzioni indipendenti» (giustizia e banche centrali) – che sarebbe alla base della forma democratica di Stato, al fine di sostituirvi il rapporto diretto tra leader e popolo. L’“obsolescenza” del liberalismo denunciata da Putin, in altri termini, altro non nasconderebbe che la riproposizione del tema “populista” del leader legittimato direttamente dal popolo in forme plebiscitarie, e della critica alla rappresentanza.

COMUNITÀ E VALORI

Corrado Ocone, da parte sua, propone una lettura differente. Nel suo intervento, pubblicato sulla rivista on line Formiche, e ripreso poi anche da Dino Cofrancesco su Il Dubbio, egli sottolinea come il vero “punto d’attacco” di Putin non sia il liberalismo in quanto dottrina politica – che per definizione sarebbe sempre “incompiuta” e quindi costantemente in “crisi”, in trasformazione –, bensì il «dispositivo liberal-liberista», ossia la «declinazione utopistica e metafisica del pensiero liberale», quell’ideologia «spoliticizzante, che si è illusa di superare il conflitto neutralizzandolo attraverso l’economia di mercato, da una parte, e il diritto eticizzato del “politicamente corretto”, dall’altra». Marco Gervasoni dal canto suo su fMC insiste su un’altra questione fondamentale, a cui peraltro il liberalismo non ha in effetti mai saputo rispondere, vale a dire come possa esistere una comunità politica senza valori prepolitici che leghino quella comunità. Se le riflessioni di Ocone e di Gervasoni appaiono condivisibili da diversi punti di vista, occorre però provare a seguire ulteriormente l’argomento di Putin iuxta propria principia.

Torniamo, però per un attimo, all’intervento di Alesina e Giavazzi, che non coglie il punto, anche perché confonde, senza distinguerli in alcun modo, ideologie diverse: il populismo, l’antiparlamentarismo, il sovranismo, il liberalismo, il nazionalismo. Non credo – ed è sufficiente leggere l’intervento di Putin per rendersene conto – che la crisi del liberalismo coincida, per Putin, con la necessità di esautorare le istituzioni democratiche ed in particolare il ruolo del Parlamento, dell’assemblea rappresentativa, nei nostri sistemi politici. Certo, la concezione politica di Putin riprende alcuni dei motivi propri di una tradizione radicata in Russia, quella che lui stesso, in una intervista nel 2000, ha chiamato «democrazia guidata» o «sovrana», fondata sul primato dell’ interesse nazionale, la nazionalizzazione delle élites attraverso l’eliminazione di quella che Vladislav Yuryevich Surkov (il vero ideologo di Putin) ha definito «l’aristocrazia offshore», e il controllo pubblico degli asset strategici della Russia.

POST COMUNISMO

Ma è troppo facile liquidare il modo in cui la democrazia si è andata determinando e organizzando nella Russia post-comunista – e che ha sicuramente visto anche la critica di una democrazia liberale «d’importazione» – tacciandolo di “dittatura”. Forse si potrebbe parlare di una democrazia che cerca di uscire dal vicolo cieco in cui è caduta la democrazia liberale: una democrazia non illiberale, ma semmai post liberale, che non mette più al centro il mercato e gli individui ma il popolo russo. Bisognerebbe inoltre analizzare le trasformazioni della democrazia russa in corrispondenza con le sue esigenze geopolitiche, con il modo in cui la Russia uscita sconfitta dalla guerra fredda tenta, oggi, di ridefinire i suoi rapporti con l’Occidente. Per questo Putin con la sua intervista parla, soprattutto, agli occidentali e dell’Occidente, parla a noi europei ed alle nostre istituzioni. Forse per dirci, anche, che il liberalismo – a dispetto di quanto ne dicono Alesina e Giavazzi – è proprio ciò che ha prodotto una Europa, una Unione europea che di “democratico” ha l’“elezione” di una aristocratica von der Leyen come Presidente della Commissione europea, scelta senza che i cittadini che hanno votato per il parlamento europeo neppure sapessero chi fosse.

Ocone, da parte sua, cerca di separare il liberalismo dal liberismo, nel tentativo di salvare il primo. Come dire: Croce va ancora bene, per non dire Locke, ma un Hayek, un Milton Friedman o un Rothbard no. Difficile, però, assolvere il liberalismo “classico” stabilendo una radicale discontinuità con il neo-liberalismo. Difficile, in altri termini, fingere che la rinascita delle idee liberali nel XX secolo non sia passata proprio per l’ordoliberalismo della scuola di Friburgo, per la Public Choice Theory americana, insomma per una certa concezione del mercato, della contrapposizione tra Stato e società, pubblico e privato, e così via. Del resto, è proprio questo il punto essenziale della critica di Putin: la necessità di recuperare la comunità politica contro la società degli individui, lo Stato rispetto al mercato, la tradizione religiosa rispetto al razionalismo illuministico.

SPIRITO DEL TEMPO

Putin ha espresso, da vero leader politico – l’unico sul pianeta ad aver colto hegelianamente lo spirito del tempo – la trasformazione fondamentale della politica del XXI secolo rispetto a ciò che lo ha preceduta, ossia la sua ridefinizione attraverso l’opposizione populismo/globalismo, che ha ormai sostituita quella, obsoleta, tra destra e sinistra. È questo il messaggio che Putin ha lanciato, ed è questo che spiega nel contesto anche la sua difesa dei valori religiosi, del cristianesimo ortodosso in particolare, non collocato meramente nella sfera del privato, quale radice dell’identità russa, e della famiglia tradizionale. Religione, famiglia e Stato in fondo sono tutti elementi “estranei” al liberalismo e ancora di più al neoliberalismo. Lo stesso vale per l’immigrazione, i liberali sono tendenzialmente “universalisti” (accoglienza per tutti) e non si rendono conto che l’immigrazione può funzionare solo se limitata e sulla base di una condivisa integrazione, perché altrimenti le tensioni interculturali saranno destinate a sfociare in violenza. E proprio perché sono tendenzialmente “universalisti” i liberali sono anche propensi a trasferire poteri di governo dallo Stato a enti sovranazionali cedendo la propria sovranità.

Putin ha capito che tutto questo è in fondo da ricondurre al liberalismo, ed ha anche capito che il populismo a livello planetario, e il sovranismo in Europa, sono le categorie su cui dovrebbe essere costruita, oggi, una nuova teoria politica, dopo il fallimento delle grandi narrazioni e tra queste anche quella del liberalismo. Al posto di una democrazia liberale ci vuole non una democrazia illiberale, ma una democrazia “sovranista” fondata sui diritti dei popoli.

di Paolo Becchi su Libero, 14/07/2019